Under the Milky Way: I Gorillaz in Italia

Non avevo mai visto, a un concerto, delle persone costrette a vomitare. Ho dovuto assistere a varie situazioni difficoltose in vari tipi di location e pubblico ma mai nessuno che rigettasse ciò che aveva ingurgitato ore prima in mezzo alla folla. A Lucca il 12 Luglio c’è un discreto sole che si poggia in testa a file di ragazzini con cuoio capelluto colorato, a genitori impazienti che la giornata finisca il più presto possibile, metallari sopra i 25, dark/gothic fellaz, e semplici nerd con vestiario a regola. Non mi pare un pubblico da concerto rock, di sicuro non lo stesso che nel 2013 prese posto all’Ippodromo del Galloppo per assistere al ritorno dei Blur in Italia lottando con la calura e la polvere che alzammo tutti sulle note di Popscene e Song 2. Ecco a Lucca però queste persone mi è già capitato più volte di vederle a una tappa ormai obbligatoria per ogni Nerd degno di questo nome, il Comics di Lucca, e pure lì a fastidi e difficoltà non si scherza, ma perlomeno ci si può muovere liberamente, mentre qui il conto di due ragazze estintore, ragazzi incontinenti e litri d’acqua buttata per la severità della security è piuttosto consistente e verranno fuori alcune polemiche per il poco spazio garantito da Piazza Napoleone (12.000 biglietti staccati).

Però c’è grande tranquillità, tale da poter raggiungere una bella posizione sotto palco alle sette di sera e transitare amici, famiglia, creditori, eserciti nella stessa zona; un pubblico rispettoso, ingenuo e felice. Un clima raro ai concerti di questa capienza, è sembrato aspettare una tribute band di Zelda, Final Fantasy, se non Joe Hisaishi. Invece parte M1A1, che è senza ombra di dubbio una b-sides dei Blur, e il pubblico inizia subito a fomentarsi.

Effettivamente è stato come stappare un tappo che tratteneva anni e anni di attese e trascuratezza da parte della band animata nei confronti dei suoi fans italiani, un pubblico ricettivo ed entusiasta che sapeva ogni canzone, anche quelle provenienti da The Now Now, nuovo album registrato in tour da colui che a cinquant’anni si fa adorare dalle post millennials dopo aver traviato le pre se non quelle autentiche bimbe della nuova generazione. Sembra normale che tutto questo avvenga ma in verità l’impressione è che silenziosamente il progetto Gorillaz sia ormai un’oasi di pace e di barriere implose grazie alla impersonificazione del concetto di forma sopra ogni cosa, dare così risalto a una sostanza musicale che in altre mani “umane” non raccatterebbe la metà di questi dodicimila spettatori. Per anni l’ho sempre vista come una cosa triste, senza mai contare che un progetto simile ha dato ad Albarn una libertà artistica che nei Blur limitava in qualche diavoleria sonora di 2 minuti tra una traccia e l’altra. Se agli inizi tutto era permeato da uno spirito divertito e cazzone, da cianfrusaglia sonora senza ambizioni,  arrivati al 2010 tutto ha assunto un senso di successo garantito tale da poter incidere ogni cosa, invitare chiunque nelle canzoni, e suonare qualsiasi genere. Per Plastic Beach sospettavo che la sua eccessiva autorialità rendesse il progetto fuori dai suoi standard e dalla sua natura, e invece al concerto lucchese tutti hanno amato Rhinestone Eyes, On Melancholy Hill (tripudio), Stylo e altri brani che Albarn dichiarò palesemente come destinati a uscire per altri progetti se non avesse ricucito i rapporti con il fumettista Jamie Hewlett,  colui che grazie alle doti di character design,  ha offerto all’amico musicista una nave lusso su cui traghettare la sua carriera e il suo estro più bizzoso.

E’ questi sono i Gorillaz, probabilmente l’esempio più lampante di come la musica odierna ormai sia solo un sottofondo e allo stesso tempo l’unico progetto su cui certa musica contemporanea può essere risaltata ed accettata in modo trasversale in tutti i suoi pregi e generi. L’emblema di come ormai la pop culture abbia intasato e veicolato qualsiasi rapporto con la musica, ma ne sono anche i suoi disturbatori, condannati quasi ad essere bizzarri, sperimentali, ed estrosi per mantenere il successo, un paradosso che ha isolato la band da qualsiasi moda del momento e permesso a Albarn di non vendere il culo al mercato come molti suoi colleghi di vecchia data. Di certo non potevi metterci Bon Jovi a dirigere la musica, sarebbe venuto fuori un cartoon paternalistico d’irritante irrilevanza. Forse tutto è veramente nato da Coffee and Tv, un successo clamoroso che porto’ gli alfieri del Brit-Pop ad essere ricordati nel 1999 come quelli del cartoncino di latte vivente, specie dal sottoscritto che di paranoia dei 90′ e della fine d’un secolo non ne sapeva ancora niente, nemmeno abbinare la canzone di Fifa 98 a quella band col secondo cantante occhialuto e smunto. Quindi perché fare lo snob se poi quel cartoncino t’ha portato ad ascoltare un sacco di musica?

Il concerto è d’un energia spumeggiante, contagiosa grazie alla sua varietà, ai suoi ospiti fatti di leggende rap e nuovi alfieri del genere, e a un Albarn sempre garanzia di trasporto live, di coordinazione tra i strumenti suonati, e di cifra musicale che m’ha riconfermato quanto sia letteralmente un suo devoto senza vergogna. Risalta sopratutto una resa live da tramandare ai posteri con canzoni nettamente più accattivanti e coinvolgenti rispetto al disco, specie per l’ultimi lavori e per brani come Kids With Guns, Andromeda, e insospettabilmente per una iconica Tomorrow Comes Today. I visual hanno un equilibrio tra grafiche ipnotiche per i nuovi pezzi e vecchi videoclip per i brani più datati, il pubblico apprezza senza remore quando magari tra diversi anni può non bastare più.

Alla fine spuntano fuori ragazzine idol, secchioni in camicia, e uno sparuto gruppo di fans dei Blur ormai inchinatosi a Long John Albarn e al suo dente d’oro. La sensazione, meglio la certificazione di essere in mezzo al presente e futuro di qualcosa, non del tutto della musica ma dei modi su cui ormai si è lasciata proliferare, sulle nuove dimensioni che si possono palesare nei prossimi decenni, ma pure la certezza che la musica dal vivo, se accompagnata da tutto questo bagaglio di mie retoriche raffazzonate, impartisce una efficace lezione di amore per la musica che in pochi si possono permettere. Potrebbe non essere un azzardo se tra trent’anni loro e i Daft Punk saranno ricordati come i veri idoli odierni, Non c’è altro da fare che quest’ultimi si degnino di scendere dalla loro navicella.

P.S: El mañana dal vivo merita un discorso a parte inesprimibile.